Concerti Straordinari al Teatro alla Scala: Domenica 30 giugno 2024 ~ ore 20, THE FAIRY QUEEN
The Fairy Queen:Purcell diretto da William Christie
con la coreografia di Mourad Merzouki
VERSIONE SEMISCENICA
Les Arts Florissants
William Christie
Direttore
Mourad Merzouki
Coreografia e versione semiscenica
Soliste e solisti de Le Jardin des Voix 2023
Paulina Francisco, soprano
Georgia Burashko, mezzosoprano
Rebecca Leggett, mezzosoprano
Juliette Mey, mezzosoprano
Ilja Aksionov, tenore
Rodrigo Carreto, tenore
Hugo Herman-Wilson, baritono
Benjamin Schilperoort, basso-baritono
Ballerine e ballerini della Compagnie Käfig
Baptiste Coppin, Samuel Florimond, Anahi Passi
Alary-Youra Ravin, Daniel Saad, Timothée Zig
Prezzi: da 110 a 18 euro
Infotel 02 72 00 37 44
The Fairy Queen:Purcell diretto da William Christie
con la coreografia di Mourad Merzouki
Il capolavoro tratto dal Sogno shakespeariano sarà eseguito in forma semiscenica
dal complesso barocco Les Arts Florissants con le voci dell’accademia Le Jardin des Voix
e i ballerini della Compagnie Käfig, che attinge al linguaggio dell’hip hop
Il 30 giugno il ciclo di Concerti Straordinari del Teatro alla Scala ospita un appuntamento particolarmente prezioso: The Fairy Queen (‘La regina delle fate’) per cui Henry Purcell nel 1693 trasse ispirazione dal Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Per questa esecuzione in forma semiscenica William Christie è sul podio dell’orchestra barocca Les Arts Florissants da lui fondata nel 1979 (e con lui protagonista della memorabile esecuzione ad Aix-En Provence nel 1989 che segnò il ritorno del pezzo in repertorio), mentre le voci provengono dall’Accademia per giovani cantanti annessa allo stesso gruppo, Le Jardin des Voix. Un elemento di estremo interesse in una prospettiva di recupero delle forme ibride del teatro dell’epoca delle Restaurazione è la presenza sul palcoscenico dei danzatori della compagnia Käfig impegnati nella coreografia del loro fondatore Mourad Merzouki, tra i maggiori protagonisti del processo di inclusione di diversi linguaggi e in particolare dell’hip hop nel panorama coreografico francese di oggi.
William Christie
William Christie, clavicembalista, direttore d’orchestra, musicologo e insegnante, è l’ispiratore di una delle più emozionanti avventure musicali degli ultimi trent’anni. Pioniere nella riscoperta della musica barocca, ha fatto conoscere il repertorio della Francia del XVII e XVIII secolo a un pubblico molto vasto. Nato a Buffalo e formatosi ad Harvard e Yale, William Christie vive in Francia dal 1971. La svolta nella sua carriera è avvenuta nel 1979, quando ha fondato Les Arts Florissants.
Les Arts Florissants
Fondato nel 1979 da William Christie, Les Arts Florissants è uno degli ensemble di musica barocca più rinomati al mondo. Fedele all’esecuzione su strumenti d’epoca, questo ensemble ha svolto un ruolo pionieristico nel portare alla ribalta la musica europea del XVII e XVIII secolo. Oggi Les Arts Florissants propone un centinaio di concerti e spettacoli all’anno sui più grandi palcoscenici francesi e internazionali, diretti da William Christie e Paul Agnew.
Le Jardin des Voix
Le Jardin des Voix è l’Accademia barocca delle Arts Florissants per giovani cantanti. Creata nel 2002 e diretta da William Christie e Paul Agnew, questa accademia biennale è pensata per accogliere giovani cantanti lirici all’inizio della loro carriera. Dopo tre settimane di lavoro intensivo, i vincitori sono invitati a presentare uno spettacolo che viene portato in tournée internazionale. Questa esperienza favorisce la loro integrazione professionale e permette loro di esibirsi su alcuni dei più grandi palcoscenici del mondo, costruendo al contempo una fedele collaborazione con Les Arts Florissants.
Mourad Merzouki
È una delle figure più interessanti ed eclettiche della coreografia francese contemporanea. Si è interessato al circo e alle arti marziali prima di incontrare l’hip-hop alla fine degli anni Ottanta. Ha studiato danza con Maryse Delente, Jean-François Duroure e Josef Nadj. Nel 1989 ha creato la compagnia Accrorap con alcuni colleghi, nel 1996 la sua compagnia, Käfig, che significa “gabbia”. Dal giugno 2009, Merzouki è direttore del Centre chorégraphique national de Créteil et du Val-de-Marne, dove crea e mette in scena nuove opere, ma fornisce anche sostegno a gruppi indipendenti e compagnie emergenti. Nel 2013 ha creato il Festival Kalypso, offrendo un nuovo livello di esposizione alle compagnie di danza hip-hop nella regione di Parigi.
Nel marzo 2016, Merzouki è stato nominato consulente artistico del Pôle en Scènes di Bron. Ha creato ponti tra le discipline, aprendo spazi diversi a un pubblico sempre più vasto. Dal 2023 collabora con l’allenatrice Julie Fabre della squadra francese di nuoto artistico per coreografare il balletto per i Giochi Olimpici del 2024. Nel 2023 e nel giugno 2024 ha creato programmi coreografici per il Musée d’Orsay.
Il Barocco attraverso le Stagioni della Scala
Dominique Meyer è stato un attivo promotore della rinascita barocca in Francia durante i suoi anni al Théâtre des Champs-Elysées e ha portato alla Scala la medesima passione e impegno culturale. Oltre alle opere di Cavalli, Vinci, Cesti, Gassmann che sono comparse per la prima volta nel calendario del Piermarini, le stagioni concertistiche si sono arricchite di Cantate, Oratori, Passioni e opere in forma di concerto. In questa Stagione ricordiamo il Collegium Vocale Gent con la Matthäuspassion di Bach diretta da Philippe Herreweghe e Alcina di Haendel con i Musiciens du Louvre diretti da Marc Minkowski e Magdalena Kožená protagonista. Il 2 dicembre 2024 torna Sir John Eliot Gardiner con Charpentier e Bach eseguiti dal Monteverdi Choir e dagli English Baroques Soloists; il 17 aprile 2025 la Johannes-Passion segna il debutto di Raphaël Pichon con la sua Orchestra Pigmalyon; mentre il 18 maggio è la volta della versione in forma di concerto dell’opera della giovinezza milanese di Mozart Mitridate re di Ponto con Les Talents Lyriques e Christophe Rousset; infine il 26 novembre 2025 Les Indes Galantes di Rameau sono eseguite dalla Cappella Mediterranea diretta da Leonardo Garcìa Alarcón.
The Fairy Queen di Dinko Fabris (dal programma di sala)
Non aveva ancora compiuto trentatré anni Henry Purcell quando, il 2 maggio 1692, fu rappresentata per la prima volta al Queen’s Theatre di Dorset Garden la sua “opera” The Fairy Queen, adattamento del Midsummer Night’s Dream di William Shakespeare di uno o più autori ignoti, ma certamente interni alla United Company che gestiva il teatro, sotto la direzione di Thomas Betterton. Appena tre anni prima si era conclusa la “Gloriosa Rivoluzione” che aveva portato sul trono d’Inghilterra Guglielmo III d’Orange e Mary II Stuart, figlia dello spodestato Giacomo II. Artisti e musicisti si erano dovuti riposizionare sul nuovo assetto politico che spazzava via le tentazioni di restaurare il cattolicesimo nella nazione ora saldamente protestante. Purcell era riuscito a farsi assumere come “musician composer” della camera privata del nuovo sovrano ed era stato incaricato di comporre ogni anno un’ode per il compleanno della regina Mary. Inoltre, dal 1690 aveva avviato la sua collaborazione con il Dorset Garden, il “teatro della regina”, presentandovi in quell’anno Dioclesian e nel successivo 1691 King Arthur, titoli con cui Purcell puntava alla nascita di un’opera nazionale inglese.
Per comprendere meglio l’operazione Fairy Queen e il suo forte impatto sul pubblico, che determinò l’inconsueta scelta dell’impresario di riproporla nella successiva stagione 1693, sarà bene ricordare che il teatro di Dorset Garden era il più all’avanguardia di Londra per le macchine sceniche, l’illuminotecnica e le altre meraviglie sperimentate già da tempo in Italia e in Francia.
Il teatro poteva accogliere, solo nei due ordini di palchi e nella galleria, 850 abbonati spettatori. Il suo palcoscenico era comodo per accogliere attori, cantanti, danzatori e coro e lo spazio per l’orchestra era assai ampio. In effetti il “Gentleman’s Journal” del maggio 1692 aveva esaltato il lato spettacolare della nuova produzione di Fairy Queen, che era costata la cifra sbalorditiva di 3000 sterline: “la Musica e le Scene sono straordinarie. Ho ascoltato le lodevoli danze e senza dubbio tutto lo spettacolo è molto piacevole”. Ma come potevano essere “ascoltate” le danze? E che cos’era questo spettacolo che nel libretto stampato veniva chiamato “opera”?
Roger North, che scriveva pochi anni dopo la morte di Purcell, coniò la celebre – ma in seguito fortemente contestata – definizione di “semi-operas” per gli spettacoli ideati da Betterton e Purcell al Dorset Garden a cominciare dal 1690, presentati come “opere” in quanto “esse consistono per metà di musica e per metà di recitazione”. La prefazione al libretto di Fairy Queen del 1693 chiarisce che anche gli spettacoli francesi erano agli inizi “not perfect Operas”, ma tragedie con musiche, canto, danze e macchine, e che per introdurre in Inghilterra uno spettacolo costoso come l’opera bisognava farla gradualmente conoscere e sperare di poter produrre presto in loco danzatori e soprattutto cantanti adeguati. Appare invece irrilevante la fonte letteraria utilizzata, ossia il Sogno di Shakespeare, che nel libretto non è neppure menzionata: dunque non costituiva problema il rispetto del testo originale e le tante manipolazioni apportate. Eppure, si trattava proprio della storia narrata nella commedia shakespeariana, con gli stessi personaggi (solo Hippolyta viene eliminata e Teseo rinominato “the Duke”), affidata a una compagnia di attori e divisa in cinque atti; solo che, come ha calcolato Roger Savage, dei 2100 versi dell’originale del Bardo ne vengono eliminati ben 950 e modificati notevolmente altri 400, aggiungendo infine 200 versi nuovi. Qual era il compito del musicista? Invece che inserire come in passato musiche di scena tradizionali, canzoni o danze isolate, ogni atto del Fairy Queen offriva nel finale un vero e proprio Masque, ossia una sorta di spettacolino autonomo composto di arie solistiche o a più voci, cori, suite di danze e altra musica, il tutto supportato da meravigliosi interventi di scenotecnica. I cinque Masque musicati da Purcell non sono collegati al testo parlato se non per la costante evocazione magica di fate e spiriti, ma grazie al dinamismo delle continue entrées dei personaggi che cantano e danzano, costituiscono una serie così coerente da poter essere seguita come spettacolo autonomo, ciascun Masque concentrato su un tema o naturalistico o magico: nel I Atto le Fate e i Poeti ubriachi; nel II la magia della Notte; nel III le varietà dell’Amore; nel IV le Stagioni e nel V ed ultimo, dopo l’apparizione di Giunone, il Masque nuziale di Hymen. Non mancano momenti comici, parodistici o altamente spettacolari, che si prestano all’utilizzo di effetti scenici sorprendenti e al dilagare dei danzatori e dei coristi sulla scena. Esempi parodistici sono la scena dei “Drunken Poets” nel primo Masque, col poeta ubriaco e balbuziente punzecchiato dalle Fate, e il duetto nel III Atto tra il basso Coridon e Mopsa, soprano o alto en travesti. L’amore, protagonista della commedia shakespeariana, anima alcune delle arie più struggenti dell’intera produzione purcelliana: si pensi nel III Atto a “If Love’s a Sweet Passion” (soprano e coro) o all’aria cantata nel V Atto da Giunone su un carro volante tirato da pavoni “Thrice Happy Lovers”, seguita dall’aria più celebre dell’opera, “O let me weep” (The Plaint), il lamento di Laura che autocita la Didone di Purcell di pochi anni prima. Alla categoria del fantastico e magico appartengono la maggior parte delle arie solistiche nei vari Masque, tra cui “Come all ye songsters of the sky” (II,9), “Ye gentle spirits of the air” (III,24) e il patetico “When a cruel long winter” (IV,34), con cui sono introdotte le Stagioni. L’effetto inebriante della festa di corte è prodotto soprattutto dalle continue entrées di danze alternate ai cori, in accelerazione a partire dal II Atto: Seguaci della notte, Cigni, Fate, Uomini verdi, Falciatori, Scimmie, carri di Febo e Stagioni, esseri dei boschi, spiriti, fino all’apoteosi del V Atto con uomini e donne Cinesi che cantano il coro “Thus Happy and Free” in un esotico giardino con fontane e uccelli in volo.
Con The Fairy Queen si affermava anche nei teatri inglesi la tesi tutta barocca della supremazia della magia (gli apparati scenotecnici) sulle altre arti e la “semi-opera” di Purcell sarebbe certamente rimasta a lungo sulle scene se non se ne fosse smarrita la partitura dopo la morte dell’autore, ritrovata solo agli inizi del Novecento e da allora collocata tra i capolavori della storia della musica. Fu il compositore Gustav Holst a dirigerne la prima esecuzione moderna nel 1911 mentre la ripresa più influente in pieno revival della musica antica fu quella di Aix-en-Provence nel 1989 con Les Arts Florissants di William Christie, la cui versione discografica resta quella di riferimento.