Domenica 21 aprile 2024 alle ore 20, sul podio del Teatro del Maggio, Zubin Metha dirigerà Turandot

Domenica 21 aprile 2024 alle ore 20, nell’anno del centenario di Giacomo Puccini, torna sulle scene del Teatro del Maggio “Turandot”, con la direzione del direttore emerito Zubin Mehta e nello storico allestimento firmato dalla regia di Zhang Yimou, ripresa da Stefania Grazioli.

Sul podio, nei ruoli principali, Olga Maslova nella parte della principessa Turandot; SeokJong Baek è Calaf; Valeria Sepe è Liu; Simon Lim è Timur e Carlo Bosi interpreta Altoum.

La recita del 21 aprile sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3

 Nel foyer della sala grande del Teatro del Maggio è allestita una mostra dedicata a Giacomo Puccini e agli allestimenti delle sue opere al Maggio. Grazie alla Fondazione Cerratelli saranno anche esposti quattro costumi originali della Turandot disegnati da Umberto Brunelleschi nel 1940

La grande ruota panoramica al parco delle Cascine per sottolineare l’inaugurazione operistica porta al centro della struttura il logo del Festival

 Si informa il gentile pubblico che sono esauriti i biglietti per tutte e cinque le recite dello spettacolo previste in cartellone

Dopo il grande successo del concerto inaugurale del 13 aprile, che ha visto alzarsi il sipario sull’86ºFestival del Maggio Musicale Fiorentino in una Sala Mehta esaurita in ogni ordine di posto, prende avvio la programmazione lirica del Festival, che – nell’anno che segna i 100 anni dalla morte del grande Giacomo Puccini – presenta una delle più amate opere del compositore lucchese, Turandot.

L’opera, che Puccini non ebbe modo di concludere e che fu terminata da Franco Alfano, trova sul podio della Sala Grande, domenica 21 aprile alle ore 20, alla guida dell’Orchestra, del Coro e del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Maggioil direttore emerito a vita Zubin Mehta che, nel corso della sua carriera, ha reso Turandot una delle opere senz’altro più significative del suo repertorio.

Cinque le recite complessive, già tutte completamente esaurite in ogni ordine di posto: 21, 24, 30 aprile e 3 maggio alle ore 20 e il 27 aprile alle ore 15:30.

L’allestimento, proprio del Maggio, è forse uno degli spettacoli che più hanno segnato la storia operistica recente del Teatro ed è firmato dalla regia – ripresa da Stefania Grazioli – di Zhang Yimou, uno fra i più influenti cineasti cinesi dell’ultimo mezzo secolo e per tre volte candidato agli Oscar.

Sul palcoscenico, a formare il cast vocale dello spettacolo, Olga Maslova e Eunhee Maggio (recita del 3 maggio) nella parte della principessa Turandot; SeokJong Baek e Ivan Magrì (recite del 27 e 30 aprile) interpretano Calaf; Valeria Sepe è Liù; Simon Lim è Timur mentre Carlo Bosi interpreta Altoum. Lodovico Filippo RavizzaLorenzo Martelli e Oronzo D’Urso sono rispettivamente Ping, Pang e Pong mentre Qianming Dou interpreta Un Mandarino. Chiudono il cast tre artisti del Coro del Maggio: Davide Ciarrocchi nel ruolo de Il principino di Persia, Thalida Marina Fogarasi Anastassiya Kozhukharova come le due Ancelle di Turandot. Protagonista inoltre in scena il Nuovo BallettO di ToscanA.

Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini.

La maestra del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Maggio è Sara Matteucci.

La prima recita sarà trasmessa in diretta radiofonica da Rai Radio3. Nel foyer della sala grande del Teatro del Maggio è allestita una mostra dedicata a Giacomo Puccini e agli allestimenti delle sue opere al Maggio. Grazie alla Fondazione Cerratelli saranno anche esposti i costumi originali della Turandot disegnati da Umberto Brunelleschi nel 1940

Fra i più amati e proposti titoli pucciniani di sempre, Turandot – a partire dal 1929 –  è andata in scena per undici volte durante la storia del Teatro, tra cui l’allestimento (sempre basato sulla regia di Zhang Yimou) in forma semi-scenica dell’autunno del 2012 che dunque rende queste recite il vero e proprio ‘debutto’ nella Sala Grande della magnificente regia firmata dal grande cineasta cinese, proposta per un totale di quattro volte nel corso delle stagioni del Maggio. L’opera – che si basa sulla fiaba scenica Turandotte di Carlo Gozzi, a suo volta ispirata dalla raccolta arabo-persiana Les Milles et un jour –come detto, non venne portata a termine da Puccini che stava ancora lavorando al finale quando morì a Bruxelles il 29 novembre del 1924, le ultime scene di Turandot furono dunque completate da Franco Alfano; poco più di un anno dopo, il 25 aprile del 1926, si tenne al Teatro alla Scala la prima dell’opera diretta da Arturo Toscanini che proprio di concerto ad Alfano aveva contribuito a completare il finale.

Protagonista della vicenda, naturalmente, la principessa Turandot, che – come sottolineato dal sovrintendente Carlo Fuortes – è una delle tre grandi eroine intorno alle quali si concentrerà la programmazione lirica dell’86ºFestival del Maggio: “Protagoniste assolute della programmazione operistica del Festival saranno tre donne e – proprio in occasione dei cento anni dalla morte di Giacomo Puccini –   avremo due grandi eroine pucciniane, Tosca e Turandot, in mezzo a loro ci sarà Jeanne Dark in una nuova opera contemporanea di Fabio Vacchi”.

Queste tre grandi donne sono inoltre le figure centrali del manifesto del Festival, realizzato da Francesca Banchelli in collaborazione con il Museo Novecento  nel quale Turandot, Giovanna d’Arco e Tosca sono rappresentate come un’immagine trinitaria degli archetipi femminili, con una forte predominanza di colori accesi e luci forti, come per una vera e propria scena teatrale.

Sul podio, a dare il via alla programmazione lirica dell’86ª edizione del Festival del Maggio, il suo direttore emerito a vita Zubin Mehta, il quale ha fatto dell’opera di Puccini una delle punte di diamante del suo repertorio, affrontandola innumerevoli volte dal vivo e registrandola in disco a più riprese, a partire dalla sua prima incisione dell’opera, avvenuta nel 1966, sino ad arrivare pochi anni dopo a quella che da molti critici è considerato il disco di riferimento, ossia l’edizione del 1972 con protagonisti Joan Sutherland, Luciano Pavarotti e Montserrat Caballé. 

Fu proprio il maestro Mehta a volere Zhang Yimou per l’edizione fiorentina del 1997 di Turandot, la prima da lui diretta al Maggio e che ebbe fin da subito, come detto, uno straordinario successo. Un successo tale da essere portata l’anno successivo, dopo lunghe trattative, in Cina, nella leggendaria Città Proibita di Pechino – fino ad allora mai concessa per spettacoli dal vivo –  dove l’opera di Puccini si ambienta e dove Zubin Mehta diresse l’Orchestra e il Coro del Maggio in nove memorabili serate consecutive davanti a oltre 4000 persone per ogni singola recita, segnando una delle tappe più importanti della storia del Maggio. Da ricordare inoltre il grande successo dell’opera in occasione delle tournée a Tokyo nel 2001 e 2006, sempre nell’allestimento di Zhang Yimou con la direzione di Zubin Mehta.

Nell’intervista rilasciata per il libretto di sala del 1997, il maestro Mehta evidenziò di come il finale di Alfano (che verrà eseguito per questa produzione) fosse in realtà necessario da un punto di vista drammaturgico: “So bene che molti critici hanno analizzato a fondo il problema del finale di Turandot, formulando varie ipotesi. Noi eseguiremo il finale tradizionale, quello composto da Alfano sulla scorta delle indicazioni lasciate da Puccini. Anche perché dal punto di vista drammaturgico un finale è necessario e spiego perché: una volta, dirigendo quest’opera alla Scala l’ho interrotta dove l’aveva lasciata Puccini, dopo la morte di Liù e mi sono accorto che questa scelta sposta troppo il peso drammatico dell’azione sulla giovane schiava a scapito della figura della terribile principessa. Musicalmente parlando, in Turandot, come già in Fanciulla del West, Puccini risente dell’influsso della musica impressionista, soprattutto di Ravel, e ha delle pagine – penso alla scena fra Ping, Pong e Pang – armonicamente straordinarie e nuove, ma non è prudente dire che l’ultimo lavoro pucciniano segni l’inizio di una nuova era nel campo dell’opera”. Il maestro Mehta si soffermò poi su quello che fu il lavoro svolto in parallelo con Zhang Yimou: “Sono molto felice di aver lavorato con questo grande uomo di cinema, che per la prima volta affronta il palcoscenico della lirica. Ci siamo visti molte volte e abbiamo trovato un perfetto punto di intesa. Anche le scene e i costumi sono bellissimi e riproducono, finalmente, una Cina vera e reale. Così come la regia si rifarà a movimenti tradizionali, eppure familiari ai cinesi dei nostri giorni.”

Sul palcoscenico, nel ruolo della glaciale principessa Turandot, Olga Maslova, al suo debutto assoluto sulle scene del Maggio e che da poco ha interpretato il ruolo della protagonista al Mariinsky Theatre di San Pietroburgo: parlando del personaggio e di quelli che sono i tratti che lo caratterizzano, Olga Maslova ha inoltre sottolineato la sua gioia nel prendere parte a questa storica produzione: “È per me motivo di grande orgoglio essere qui a inaugurare l’86ºFestival del Maggio Musicale Fiorentino con questa splendida ripresa dello spettacolo di Zhang Yimou, insieme al maestro Mehta e agli splendidi Orchestra e Coro del Maggio. La produzione è meravigliosa, dalle scene ai costumi, che sono magnifici in ogni loro aspetto. Il mio personaggio è senz’altro marcato da grosse sfumature di rabbia: un cuore ricoperto di ghiaccio che però attende qualcuno che possa davvero scioglierlo. Vista da un’altra prospettiva, la principessa Turandot è una donna che soffre, non riuscendo a vivere realmente la sua vita ed è stato per me molto intrigante esplorare questo aspetto, per poter capire in quale momento essa smette di essere gelida per entrare più a contatto con il suo lato emotivo”.

Calaf è invece interpretato da SeokJong Baek (Ivan Magrì nelle recite del 27 e 30 aprile), anche lui da poco protagonista nel medesimo ruolo, con grande successo di pubblico e critica, nelle recite di Turandot delle scorse settimane andate in scena al Metropolitan di New York. Liù, la giovane schiava di Timur – l’anziano e cieco padre di Calaf, interpretato da Simon Lim – è interpretata da Valeria Sepe, che torna sulle scene del Maggio dopo le recite di Pagliacci del settembre 2019 e che nel corso della sua carriera ha interpretato la parte numerose volte, sempre raccogliendo entusiastici consensi di pubblico e critica, dalle recite al Massimo di Palermo del 2019 fino alle più recenti produzioni a Tokyo e Hong Kong. Carlo Bosi, che nelle recite in forma semi-scenica del 2012 aveva interpretato Pang, da voce all’Imperatore Altoum, il padre di Turandot. 

Importante anche la partecipazione degli artisti dell’Accademia del Maggio, con Eunhee Maggio che vestirà i panni della protagonista nella recita del 3 maggio; Lodovico Filippo RavizzaLorenzo Martelli e Oronzo D’Urso che danno voce rispettivamente al Gran Cancelliere Ping, al Gran Provveditore Pang e al Gran Cuciniere Pong e Qianming Dou, da poco fra i protagonisti de La bohéme andata in scena lo scorso novembre e che veste i panni di Un Mandarino. 

Completano il cast vocale tre artisti del Coro del Maggio: Davide Ciarrocchi nel ruolo de Il principino di Persia e Thalida Marina Fogarasi Anastassiya Kozhukharova come le due Ancelle di Turandot.

La Turandot di Zhang Yimou

Protagonista di assoluto rilievo nella storia del cinema orientale e internazionale negli ultimi decenni, Zhang Yimou è fra i più importanti cineasti della cosiddetta quinta generazione del cinema cinese, ossia quel gruppo di registi che fra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta permise, in pochi anni, l’affermazione del cinema del loro paese sul piano internazionale. 

Il suo straordinario allestimento di Turandot – che segnò inoltre il suo esordio nel mondo dell’opera – debuttò al Teatro Comunale, con la direzione di Zubin Mehta, il 5 giugno del 1997 raccogliendo fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica; anche le scene e i costumi ideati da Gao Guangjian, Zeng Li, Huang Haiwei, Wang Yin furono al centro degli elogi; i costumi in particolare hanno numeri quasi da produzione hollywoodiana, essendo formati da 1892 pezzi complessivi.

Parlando del lavoro svolto e del suo impatto con l’opera di Puccini nell’intervista rilasciata per il libretto di sala del 1997, Zhang Yimou ha sottolineato di come il libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni sia veramente marcato da tratti profondamente cinesi: “Quando ho accettato di mettere in scena quest’opera al Maggio ho adottato un approccio multiplo: mi sono immerso nell’ascolto della musica pucciniana, ho studiato il libretto, ho visto in video molte edizioni di Turandot e ho assistito alla produzione andata in scena a Pechino nel ’96.

Proprio in riferimento al libretto, se ad un primo approccio mi è sembrato che l’ambientazione cinese fosse solo uno sfondo esteriore, in seguito, approfondendo lo studio, mi sono accorto che c’è una base reale; prendiamo, ad esempio, il personaggio di Liù: nella letteratura cinese, una donna che si sacrifica per amore, che subisce violenze dal “potere” è un elemento ricorrente e tradizionale, una figura comune. Un tipo di donna che si avvicina ad alcune protagoniste anche dei miei film. Questo dimostra che il libretto di Turandot ha dei tratti profondamente cinesi. Per quello che riguardi i personaggi, ad esempio il dualismo che si crea fra la principessa Turandot e la schiava Liù, io ho tentato di riequilibrare questo rapporto, per cui non c’è una sola protagonista. C’è questo antagonismo fra una vincitrice ed una perdente, fra una donna di potere e una schiava, ma c’è anche un legame significativo: la domanda d’amore di Turandot trova risposta nel sacrificio di Liù. Per questo motivo la principessa, nella mia visione, è molto turbata dal suicidio della giovane schiava ed ho risolto questa scena con un gesto teatrale, che non voglio rivelare, ma che avvicina le due donne, così da riequilibrare, appunto, il loro rapporto.

Nel mettere in scena questa produzione, ho studiato per otto mesi, cercando quasi un centinaio di soluzioni diverse. Poi ho deciso, insieme ai miei collaboratori, di realizzare questa Turandot come una ‘vera’ opera cinese, diversa dunque dalla tradizione interpretativa cui è abituato il pubblico italiano. Ma poiché l’opera cinese ha un’antica tradizione, adottando questa soluzioni tutto per me è divenuto più chiaro, più facile e pieno di significato: per noi non è tanto importante ciò che vediamo, ma esprimere l’essenza e la poesia che è propria di ogni vera arte, in Oriente come in Occidente, e dunque superare il dato oggettivo. Così ho immaginato il finale dell’opera: come un momento di unione fra cultura occidentale ed orientale, attraverso una sorta di teatro nel teatro, che vedrà svolgersi contemporaneamente alla scena conclusiva di Turandot la rappresentazione di altre otto opere cinesi. Ed il punto di contatto è dato proprio dall’universalità dei sentimenti, mentre il messaggio che vorrei lanciare è un messaggio di speranza in un mondo migliore, in una cultura comune”.

In questa occasione, la regia dell’opera è ripresa da Stefania Grazioli che da poche settimane riportato in scena un’altra produzione storica del Maggio, il Don Pasquale di Jonathan Miller diretto da Daniele Gatti: “Sono davvero felice di poter riprendere e portare sul palcoscenico della Sala Grande la regia di Zhang Yimou: farlo è stata davvero una sfida, riuscire a coordinare – nei movimenti in scena – circa 200 persone è davvero molto impegnativo. Anche da un punto di vista scenico, il regista ha lavorato molto su una gestualità ‘orientale’ dei personaggi, con un approccio registico quasi minimalista per quello che riguarda le movenze di chi è in scena: per noi che magari siamo abituati a regie più ‘occidentali’ e dinamiche è stato davvero molto intrigante confrontarci con questo tipo di lettura”.

L’opera:

C’era una volta una principessa dal cuore duro come una pietra che metteva alla prova i propri spasimanti con un trio di enigmi da risolvere. Solo l’uomo capace di rispondere esattamente ai tre indovinelli avrebbe conquistato la principessa Turandot, ma nessuno era mai riuscito nell’impresa e ogni tentativo fallito era punito con la pena capitale. L’arrivo in incognito del principe Calaf, che prontamente scioglie i tre enigmi, scombina le carte in tavola: Turandot è costretta alle nozze ma il valoroso principe non vuole costringerla a onorare il dovere impostole dal padre e le offre la possibilità di recedere solo se scoprirà la sua identità prima dell’alba. L’antica fiaba dell’algida principessa cinese risaliva a una raccolta di canti popolari mediorientali, Les Mille et un jours, tradotti nel 1710 dall’orientalista François Pétis de la Croix a cui aveva attinto Carlo Gozzi per la sua Turandot, “fiaba teatrale” rappresentata a Venezia nel 1762. Il soggetto fu proposto a Puccini nell’inverno del 1919 dai librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni e il progetto prese vita nella primavera dell’anno seguente. Dopo l’iniziale entusiasmo, Puccini visse però numerosi momenti di scoraggiamento e pensò in più occasioni di abbandonare l’impresa. Nel corso di quattro anni di lavoro intenso e travagliato il compositore aveva completato i primi due atti e ultimato la scena della morte di Liù nel terzo atto. Sul duetto successivo, in cui Turandot cede all’amore di Calaf dopo un lungo bacio che scioglie ogni sua riserva e la trasforma completamente, Puccini aveva a lungo meditato chiedendo ai suoi librettisti ben cinque versioni diverse, senza esserne tuttavia mai soddisfatto. Il mutamento repentino e quasi metafisico della crudele Turandot dopo quanto accaduto fino al fatidico momento del bacio pareva a Puccini uno scoglio insormontabile e le sue ultime energie, prima della morte il 29 novembre del 1924, furono spese nel trovare una soluzione convincente a quel momento così cruciale prima del finale. Dopo la morte del Maestro, Tito Ricordi decise di affidare a un compositore il completamento del Duetto e del Quadro conclusivo; la scelta ricadde su Franco Alfano, che ultimò il capolavoro pucciniano nel gennaio del 1926 lavorando sugli abbozzi rimasti. Turandot debuttò il 25 aprile 1926 al Teatro alla Scala diretta da Arturo Toscanini che in quella serata rimasta nella storia si rifiutò di proseguire dopo le ultime battute vergate da Puccini deponendo la bacchetta sulle ultime note del corteo funebre di Liù. Con la morte del compositore lucchese si chiudeva l’epoca gloriosa del melodramma italiano e la sua ultima creazione rimasta incompiuta ne simboleggiò la fine o, per alcuni, il nuovo corso del teatro musicale. Nella sua Turandot Puccini ricreò le affascinanti sonorità esotiche ricorrendo a melodie cinesi originali e a impasti timbrici particolari, in cui gli strumenti idiofoni (campanelli, campane tubolari, celesta, xilofono, glockenspiel,) giocano un ruolo fondamentale. Tra le voci spiccano quelle dei due protagonisti, tra i ruoli più impervi del teatro pucciniano: Turandot, dotata di una voce da tiranna e chiamata a coprire salti vertiginosi dal registro grave all’acuto, e Calaf, principe valoroso che conquista il cuore della principessa cinese a suon di romanze piene di slancio lirico.

Presentazione del Corridoio Puccini nel Foyer del Maggio:

In occasione della prima della Turandot di Giacomo Puccini del 21 aprile 2024 il Teatro del Maggio, in collaborazione con il suo Archivio Storico, presenta – similmente a quanto avvenuto lo scorso anno con l’inaugurazione dei corridoi dedicati a Maria Callas e Franco Zeffirelli – un nuovo allestimento nel corridoio destro che fiancheggia la Sala Grande del Teatro. Una nuova serie di pannelli dedicata, nell’anno del centenario, proprio a Giacomo Puccini e all’intenso legame fra il Maggio e la musica del grande compositore lucchese. 

Il rapporto tra Giacomo Puccini ed il Maggio Musicale Fiorentino è talmente intimo che esso nasce prima ancora dello stesso festival. Infatti già nell’aprile 1929 – ben quattro anni prima del varo del Maggio – l’Orchestra Stabile Fiorentina diede il via ad una prima, pionieristica, stagione d’opera. Titolo di apertura: Turandot. Prendeva così avvio uno strettissimo legame nel segno del compositore lucchese che nell’arco di quasi un secolo ha visto più di 600 recite in oltre 160 spettacoli. 

Una storia che qui si vuole rievocare attraverso alcune delle più celebri messinscene fiorentine: dalla iconica Turandot firmata da Umberto Brunelleschi per la VI edizione del festival (1940), sino a La Rondine andata in scena nel 2017 con la regia di Denis Krief. Frammenti, istantanee, momenti tratti da spettacoli spesso divenuti leggendari e che hanno contribuito a contrassegnare la storia dell’interpretazione pucciniana a Firenze e non solo.

La locandina:

TURANDOT

Dramma lirico in tre atti e cinque quadri

Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni da Carlo Gozzi

(Il finale dell’opera è stato completato da Franco Alfano)

Edizione: Casa Ricordi, Milano

Allestimento storico del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

La principessa Turandot Olga Maslova / Eunhee Kim (3 /05)

L’Imperatore Altoum Carlo Bosi

Timur Simon Lim

Calaf (Principe ignoto) SeokJong Baek / Ivan Magrì (27, 30 / 04)

Liù Valeria Sepe

Ping Lodovico Filippo Ravizza

Pong Lorenzo Martelli

Pang Oronzo D’Urso

Un mandarino Qianming Dou

Il Principe di Persia Davide Ciarrocchi

Prima ancella Thalida Marina Fogarasi

Seconda ancella Anastassiya Kozhukharova

Maestro concertatore e direttore ZUBIN MEHTA

Regia ZHANG YIMOU

Regia ripresa da Stefania Grazioli

Scene e costumi Gao Guangjian, Zeng Li, Huang Haiwei, Wang Yin

Coreografia Chen Weiya

ripresa da Damiana Pizzuti – Nuovo BallettO di ToscanA

Luci Valerio Tiberi

ORCHESTRA E CORO DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO

Maestro del Coro Lorenzo Fratini

CORO DI VOCI BIANCHE DELL’ACCADEMIA DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO

Maestra del Coro di voci bianche Sara Matteucci

Nuovo BallettO di ToscanA

Danzatori:  Benedetta Balducci, Carolina Braus, Elena Cerasa, Daniela d’Errico, Mariacarla Ferro, Sofia Galeotti, Ariana Gravilura,

Rebecca Intermite, Melissa Rosi, Sofia Indovino, Beatrice Ranieri, Valeria Strati, Elena Tassi, Tommaso Magno

Assistenti regia:  Sandro Pacini, Alessandra Giuntini

Movimenti scenici dei figuranti speciali Elena Barsotti

Figuranti speciali:  Ylenia Ambrosino, Lisa Baldi, Elena Barsotti, Ilaria Brandaglia, Cristina Cavalli, Sabrina Cerrone,

Deborah Di Noto Marrella, Giulia Mostacchi, Roberta Raimondi, Livia Risso, Roberto Andrioli, Davide Arena, Andrea Baldassarri,

Gabriele Barbetti, Mauro Barbiero, Lorenzo Braus, Rosario Campisi, Fabrizio Casagrande, Alessandro Ciardini, Leonardo Cirri, Lucio Colzani,

Egidio Egidi, Nicola Fania, Luca Ferrigato, Stefano Francasi, Gioele Gaggio, Edoardo Groppler, Andrea Landi, Sandro Mabellini,

Federico Macchi, Guido Mazzoni, Mauro Milone, Francesco Pacelli, Leonardo Paoli, Federico Raffaelli, Dario Tamiazzo, Simone Ticci,

Federico Vazzola, Beniamino Zannoni

Durata:

Prima parte: 33 minuti – Intervallo: 30 minuti – Seconda parte: 45 minuti – Intervallo: 25 minuti – Terza parte: 50 minuti 

Durata complessiva: 3 ore circa

Venerdì 15 marzo 2024, alle ore 20, prima recita di “Don Pasquale” di Gaetano Donizetti.

L’opera, diretta dal maestro Daniele Gatti, è proposta con la storica regia di Jonathan Miller, ripresa in questa occasione da Stefania Grazioli.

In locandina Marco Filippo Romano come Don Pasquale; Markus Werba nella parte del Dottor Malatesta; Sara Blanch è Norina; Yijie Shi interpreta Ernesto mentre Oronzo D’Urso veste i panni di Un notaro.

La recita del 15 marzo 2024 sarà trasmessa in differita su Rai Radio 3

A poche settimane di distanza dall’inizio dell’86ª edizione del Festival del Maggio, venerdì 15 marzo alle ore 20, nella Sala Grande del Teatro, va in scena una delle più celebri opere di Gaetano Donizetti, il Don Pasquale. Lo spettacolo è proposto nello storico, e ormai celebre, allestimento di Jonathan Miller – ripreso da Stefania Grazioli – un doveroso tributo del Teatro a un grande regista e a un allestimento molto amato, fin da subito, da pubblico e critica che è stato poi messo in scena in diversi teatri europei: una grande casa di bambole in cui si svolgeranno tutte le disavventure dei protagonisti dell’opera. Sul podio il maestro Daniele Gatti, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Maggio, che affronta per la prima volta questo titolo restando fedele alle origini dell’opera (napoletane e francesi) e mettendone in risalto il linguaggio rossiniano.

Cinque le recite complessive: il 15, il 19 e il 23 marzo alle ore 20 e il 17 e 24 marzo alle ore 15:30.

Sul palcoscenico Marco Filippo Romano veste i panni del protagonista della vicenda, Don Pasquale, anziano e ricco settantenne e zio di Ernesto, interpretato da Yijie Shi, giovane innamorato della giovane vedova Norina, interpretata da Sara Blanch

Markus Werba, che torna al Maggio dopo le recite del Don Giovanni  e Falstaff nell’ambito dell’85° Festival del Maggio, veste i panni del Dottor Malatesta; Oronzo d’Urso, talento dell’Accademia del Maggio, è invece Un notaro. 

Chiudono il cast come Tre voci soliste due artisti del Coro del Maggio, Valeriia Matrosova e Massimiliano Esposito, e Carlo Cigni.

Sempre i talenti dell’Accademia del Maggio saranno i protagonisti della recita del 23 marzo: le parti di Norina, del Dottor Malatesta e di Ernesto saranno infatti interpretate rispettivamente da Nikoletta HertsakMatteo Mancini e Lorenzo Martelli.

In questo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino le scene e i costumi e le luci sono rispettivamente curati – come nell’edizione del 2001 e del 2011 – da Isabella Bywater e Jvan Morandi con le luci realizzate in questa occasione da Emanuele Agliati.

Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini.

Mercoledì 13 marzo 2024, alle ore 17, nel Ridotto del Foyer di Galleria del Teatro del Maggio, Luca Zoppelli presenta l’opera; l’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.

Prima di ogni recita sono inoltre proposte al pubblico le presentazioni degli spettacoli, tenute da Katiuscia Manetta, Maddalena Bonechi e Marco Cosci: le guide si tengono nel Foyer della Sala Zubin Mehta o nel Foyer di Galleria della Sala Grande 45 minuti circa prima dell’inizio di ogni recita.

Sul podio della Sala Grande il maestro Daniele Gatti, che dirige l’opera di Donizetti per la prima volta nella sua carriera: “Ho colto al volo l’opportunità di affrontare per la prima volta il Don Pasquale, non avendola mai diretta ho avuto l’occasione di studiarla e di scoprirla e di ‘entrare’ così nel mondo del belcanto italiano, che nel corso della mia carriera ho toccato solo poche volte. Mi piace vedere quest’opera come un omaggio di Donizetti al teatro rossiniano buffo – mantenendo naturalmente l’impronta romantica tipica donizettiana – evidenziato da questo passaggio continuo tra un gesto affettivo di ricordo e uno sguardo sereno al genio di Rossini che scrive questo tipo di opere nei primi anni del XIX secolo: lo sentiamo in alcuni procedimenti armonici e l’uso di alcuni stereotipi tipici dell’opera buffa, con la sola differenza del recitativo, che in questo caso non è secco ma accompagnato. Inoltre ho la fortuna di avere un cast davvero eccellente ed è un grande piacere affrontare così per la prima volta questo titolo”.

Il Don Pasquale, in scena per la settima volta nel corso delle stagioni del Maggio, viene dunque proposto per la terza occasione nell’ormai storica regia firmata da Jonathan Miller nel settembre 2001, da subito accolta con grande calore dal pubblico e dalla critica; un allestimento portato inoltre con altrettanto successo a Milano, al Teatro alla Scala, alla Royal Albert Hall di Londra e all’Opera di Bilbao. Il grande regista londinese ambienta la vicenda nella casa di Don Pasquale, che è sì una dimora borghese settecentesca, ma pensata scenicamente come una grande casa delle bambole su tre piani, con ogni ambiente di essa curato e ben definito, dalla cucina al soggiorno fino alle camere da letto, mentre costumi e trucco rimarcano il carattere brioso dell’opera di Donizetti. 

“È un’opera in cui decisamente ne vedremo delle belle” ha sottolineato Stefania Grazioli, parlando dell’allestimento da lei ripreso di Jonathan Miller “Il Don Pasquale è la terza e ultima opera buffa di Gaetano Donizetti, che sappiamo essere stata una persona dotata di grande senso dell’umorismo; la vicenda – per quanto piena di momenti buffi e situazioni divertenti – non ha una comicità fine a sé stessa, bensì più profonda, con momenti anche malinconici. Il libretto è di altissimo livello, sia perché perfettamente connesso con la partitura sia perché riesce a bilanciare, proprio attraverso l’alternanza fra momenti divertenti e situazioni dal retrogusto più amaro. La regia di Miller, che fa capire in modo cristallino la sua grande sapienza teatrale, è ricca di gag davvero splendide ed è un grande onore e piacere riprendere questo allestimento, potendo contribuire con il lavoro svolto insieme al maestro Daniele Gatti e a tutto lo splendido cast di questa produzione”.

Marco Filippo Romano, che interpreta lo sfortunato protagonista della vicenda, Don Pasquale, torna al Maggio dopo le recite de L’elisir d’amore dell’estate del 2019: “Nonostante abbia già interpretato questo splendido ruolo all’estero, per me queste recite segnano il mio debutto come Don Pasquale in Italia; farlo qui al Teatro del Maggio, con questa straordinaria regia di Miller e insieme alla direzione del maestro Daniele Gatti – con cui ho la fortuna di collaborare per la prima volta – è assolutamente emozionante. Il vecchio Don Pasquale è senz’altro uno dei ‘principi’ dei ruoli buffi: nonostante questo non ha le tipiche caratteristiche, ad esempio, del buffo di stampo rossiniano; questa differenza, in Donizetti, la troviamo nelle frasi molto legate fra loro e da una malinconia spesso accentuata musicalmente o scenicamente. Con il protagonista dell’opera ci troviamo dunque davanti a un personaggio che, bensì sia vecchio, ha e sente nuovamente della vitalità dentro di sé, come sottolineato anche da alcuni passaggi musicali; egli, cercando di conquistare Norina, riscopre un sentimento che non aveva probabilmente da quando era giovane”.

La bella vedova Norina è interpretata da Sara Blanch, che sarà inoltre fra i protagonisti del concerto inaugurale diretto dal maestro Daniele Gatti dell’86°Festival del Maggio in programma il prossimo 13 aprile.

Parlando del personaggio di Norina, Sara Blanch ne ha sottolineato la grande forza e la grande indipendenza: “È una donna davvero capace, con esperienza nelle relazioni e che spesso prende l’iniziativa e credo che sia proprio lei in realtà il grande motore immobile della vicenda, che poi verrà orchestrata dal Dottor Malatesta: lei fa questo in risposta al fatto di sentire il suo amore con Ernesto ostacolato bruscamente da Don Pasquale. Ecco allora nascere in Norina questo grande spirito di ribellione davanti a questa ingiustizia e la necessità assoluta di cambiare lo stato della vicenda. Dal mio punto di vista trovo sia davvero interessante interpretare una parte del genere, perché permette di mostrare una donna con più sfumature; la rabbia per la vicenda con il vecchio Don Pasquale, i momenti di tenerezza con Ernesto e anche le tante situazioni in cui dimostra di avere anche una vena molto spiritosa: è davvero un personaggio completo”. 

Markus Werba, da poco protagonista come Leporello nel Don Giovanni, opera inaugurale dell’85°Festival del Maggio, e come Ford in Falstaff, nella medesima edizione del Festival, interpreta il Dottor Malatesta, colui che tesserà le trame della vicenda per far sì che, a spese del vecchio Don Pasquale, Norina ed Ernesto possano finalmente convolare a giuste nozze: “Il Dottor Malatesta è il vero e proprio deus ex machina della storia; infatti, nonostante sia proprio lui quello incaricato dal vecchio protagonista per trovargli una moglie, è molto legato a Ernesto è dunque ordisce le trame per ingannare Don Pasquale e far sì che il suo amico e Norina possano sposarsi. È infatti lui che suggerisce al protagonista di sposare sua sorella Sofronia (in realtà impersonata da Norina) facendogli credere che sia una giovane bella e pura appena uscita di convento. In questo modo, organizzando questo finto matrimonio, la vera Norina – sotto mentite spoglie – avrà modo di far davvero ‘impazzire’ Don Pasquale, facendogli spendere un sacco di soldi e progettando grandi feste, facendo chiamare sarti e gioiellieri e disdegnando le sue attenzioni affettuose”.

Yijie Shi, che torna sulle scene del Maggio dopo un’altra opera di Donizetti, la Lucia di Lammermoor del settembre 2015,veste i panni di Ernesto, il giovane innamorato di Norina: “è bellissimo poter tornare al Maggio, mi mancava moltissimo. La prima volta, credo, fu nel 2012 nel vecchio Teatro per “Il viaggio a Reims” di Rossini; le ultime, invece, nel 2014 (Falstaff) e Lucia di Lammermoor (2015) qui nel nuovo teatro. Sono davvero molto contento di essere tornato a Firenze (e in Europa) e ringrazio tantissimo il teatro”. Oronzo D’Urso, da poco fra i protagonisti de La principessa di gelo dello scorso febbraio, interpreta Un notaro.Chiudono la compagnia di canto due artisti del Coro del Maggio – Valeriia Matrosova e Massimiliano Esposito – e Carlo Cigni.

L’opera:

Il libretto è scritto da Giovanni Ruffini (anche se firmato da Michele Accursi), ed è un rifacimento del libretto scritto da Angelo Anelli nel 1810 per Ser Marcantonio di Stefano Pavesi. È un dramma buffo certamente, ma Don Pasquale segna un punto di arrivo e uno di rottura per l’opera buffa siglato da Donizetti; è l’approdo di una tradizione comica italiana che percorre i secoli comunque né troppo farsesca né troppo comica, ed è l’opera nella quale la commedia si affaccia verso l’amarezza. È l’antica trama, da Donizetti articolata in tre concisi atti, del vecchio (Don Pasquale), economo e celibe, raggirato con l’offerta di una sposa ingenua, la vedova invece scaltra e maliziosa che ama riamata il nipote di Don Pasquale. Equivoci e travestimenti, metamorfosi, spese, finte nozze, simulati tradimenti e insulti per far sì che il vecchio maledica le sue nozze fino a che, scoperta la verità dell’architettura a suo danno, non si rassegna a benedire le nozze tra i giovani. Il libretto, nella definizione drammaturgica offerta dalla musica di Donizetti, è un modello d’efficienza e di eleganza: un prontuario ben congegnato di situazioni comiche ritmate dall’intuito teatrale malizioso e attuale. 

La locandina

DON PASQUALE

di Gaetano Donizetti

Dramma buffo in tre atti

Libretto di M. A. (Michele Accursi),

Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti da Angelo Anelli 

Edizione Edwin F. Kalmus & Co., Inc., Roca Baton, Florida

— 

Direttore Daniele Gatti

Regia Jonathan Miller

ripresa da Stefania Grazioli

Scene e costumi Isabella Bywater

Luci Jvan MorandiRealizzate da Emanuele Agliati

— 

Don Pasquale Marco Filippo Romano

Dottor Malatesta Markus Werba/Matteo Mancini (23)

Ernesto Yijie Shi/Lorenzo Martelli (23)

Norina Sara Blanch/Nikoletta Hertsak (23)

Un notaro Oronzo D’Urso

Tre voci soliste Valeriia MatrosovaMassimiliano Esposito,Carlo Cigni

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Maestro del Coro Lorenzo Fratini


In lingua originale
Con sopratitoli in italiano e inglese a cura di Prescott Studio, Firenze

Prezzi:

Visibilità limitata e ascolto: 15€

Galleria: 30€

Palchi: 40€

Platea 4: 50€ – Platea 3: 60€ – Platea 2: 75€ – Platea 1: 90€

Venerdì 22 dicembre 2023, alle ore 20, il concerto celebrativo per il 90° anniversario del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, una delle compagini corali più prestigiose e importanti d’Italia.

Sul podio della Sala Zubin Mehta alla testa del Coro, di cui ne è direttore,  e dell’Orchestra del Maggio, il maestro Lorenzo Fratini; in programma la “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini.

Solisti nel corso delle esecuzione quattro talenti dell’Accademia del Maggio: Olha Smokolina, Danbi Lee, Lorenzo Martelli e Lodovico Filippo Ravizza. 

Sono 90 anni per una delle più prestigiose istituzioni musicali del nostro Paese: spenge infatti 90 candeline il Coro del Maggio Musicale Fiorentino.

Questo speciale compleanno è celebrato, naturalmente in musica, venerdì 22 dicembre alle ore 20, in Sala Zubin Mehta. In programma uno delle composizioni più amate e conosciute di Gioachino Rossini, ossia la Petite Messe Solennelle; sul podio il maestro del Coro del Maggio, Lorenzo Fratini; sul palcoscenico quattro talenti dell’Accademia del Maggio: Olha SmokolinaDanbi LeeLorenzo Martelli e Lodovico Filippo Ravizza. Prima del concerto, nel pomeriggio del 22 dicembre alle ore 17 presso il foyer di galleria (ingresso libero), un convegno sulla ricchissima storia del Coro del Maggio. Durante la tavola rotonda saranno ricordate le tappe artisticamente più significative del percorso compiuto dalla compagine fiorentina nel corso di questi nove decenni di intensa attività musicale.

Ne parleranno: Giovanni Vitali, Daniele Spini, Roberto Gabbiani (che ha guidato il Coro dal 1974 al 1990) e Lorenzo Fratini, che da 10 anni ne è il direttore.

Novant’anni di storia, dunque, per il Coro del Maggio Musicale Fiorentino, nato nel 1933, lo stesso anno in cui Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano e il grande Vittorio Gui istituirono il Festival del Maggio. A partire dai primi passi, mossi sotto la guida di Andrea Morosini, il Coro si qualifica presto come uno dei più prestigiosi complessi vocali italiani sia nell’ambito dell’attività lirica che di quella sinfonica; oltre a questo, l’attività del Coro si è sviluppata anche nel settore della vocalità da camera e della musica contemporanea, con importanti prime esecuzioni di compositori del nostro tempo quali Krzysztof Penderecki, Luciano Berio, Luigi Dallapiccola, Goffredo Petrassi, Luigi Nono e Sylvano Bussotti. Innumerevoli le collaborazioni con quelli che sono stati i direttori stabili, da Vittorio Gui a Daniele Gatti: Mario Rossi, Bruno Bartoletti, Riccardo Muti, Zubin Mehta e Fabio Luisi, alle quali si aggiungono le collaborazioni con i più grandi nomi della direzione del XX secolo come Carlos Kleiber, Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Gianandrea Gavazzeni, Georges Prêtre, Myung-Whun Chung, Seiji Ozawa, Semyon Bychkov, Giuseppe Sinopoli e Lorin Maazel.

Alla guida del Coro, dopo Morosini subentrano Adolfo FanfaniRoberto GabbianiVittorio SicuriMarco BalderiJosé Luis BassoPiero Monti e, dal 2013, Lorenzo Fratini. Negli ultimi anni il Coro amplia il proprio repertorio alle maggiori composizioni sinfonico-corali classiche e moderne e partecipa a numerose tournée internazionali sia come complesso autonomo che con l’Orchestra del Maggio. La disponibilità e la capacità di interpretare lavori di epoche e stili diversi in lingua originale sono caratteristiche che hanno reso il Coro del Maggio fra le compagini più duttili e apprezzate dai direttori d’orchestra e dalla critica nel panorama internazionale, e fra i protagonisti anche di particolari ed importanti ricorrenze artistiche e civili.

Parlando di questo importante anniversario, il commissario Onofrio Cutaia si è detto orgoglioso di poter essere presente per festeggiare questo traguardo: “Nel lavoro quotidiano in teatro ho potuto constatare, da quando sono stato nominato Commissario, che il Coro del Maggio Musicale Fiorentino – per vastità di repertorio (dal Barocco alla musica novecentesca e contemporanea), duttilità e pertinenza stilistica, pur in presenza di linguaggi musicali assai lontani fra loro – deve essere considerato come una della compagini corali più prestigiose a livello non solo nazionale, ma anche internazionale, come testimoniato dai successi ottenuti in numerose tournées. Di questo va dato merito a Lorenzo Fratini, maestro del nostro Coro, per le grandi capacità artistiche e il costante impegno per migliorare ulteriormente il livello delle prestazioni, senza dimenticare ovviamente il maestro Daniele Gatti, il nostro direttore principale e il maestro Zubin Mehta il nostro direttore onorario a vita. Sono dunque felice e orgoglioso di festeggiare i 90 anni del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, nella certezza che il futuro riserverà sempre nuove occasioni di crescita artistica e di conferme del suo altissimo valore”.

Il direttore principale Daniele Gatti ha sottolineato la sua grande gioia nel vedere da anni il Coro ai più alti livelli artistici internazionali: “Un coro che mi ha sempre colpito per la sua estrema duttilità, abbiamo affrontato insieme diversi repertori e ho sempre notato da parte di tutti una partecipazione davvero sentita a quanto messo in scena in questi anni: oltre a cantare, deve muoversi e interagire sul palcoscenico e in questo non posso che sottolineare la grande capacità gestuale e la grande professionalità nel seguire sempre ciò che il regista richiede; insieme all’Orchestra è davvero una delle colonne portanti che fa di questo Teatro uno dei riferimenti del panorama internazionale”.

Sulla stessa linea di pensiero il maestro Zubin Mehta, direttore onorario a vita del Maggio: “La prima collaborazione con il Coro del Maggio risale ai miei primi impegni fiorentini e precisamente al luglio 1964 per La traviata. Da allora fino ad oggi, innumerevoli sono state le occasioni di lavoro comune e, negli anni, ho potuto apprezzare la costante crescita artistica del Coro del Maggio, di cui sono fiero e felice, che grazie al lavoro di Lorenzo Fratini col quale mi congratulo, è oggi ai vertici in Italia e nel mondo, come testimoniano i successi delle numerose tournées internazionali che abbiamo effettuato insieme”.

“Essere qui a festeggiare, da Direttore, i 90 anni di questo splendido Coro è davvero un grande orgoglio e una grande responsabilità” ha invece affermato, parlando del ‘suo’ Coro, il maestro Lorenzo Fratini “è come avere un vero e proprio ‘monumento’ fra le mani, di cui si ha l’onore e l’onere di portarne avanti il nome e la tradizione; ma lavorare – come facciamo tutti i giorni – in modo così appassionato ha fatto sì che la qualità di questa istituzione non venisse mai meno, e di questo sono davvero molto orgoglioso.”

Il maestro Roberto Gabbiani, che ha guidato il Coro del Maggio dal 1974 al 1990, ha fatto eco a quanto affermato dal maestro Fratini, rimarcando la grandissima qualità artistica che lo ha sempre definito: “Il Coro del Maggio, che ho sentito ‘mio’ per sedici anni, è sicuramente un complesso di enorme prestigio e di altissima professionalità, guidato da grandi maestri in passato che avevano sempre chiare in mente le partiture che eseguivano e il loro peso; sentivano la necessità che le voci fossero tali da poter essere degne delle musiche eseguite. Questo fu evidente anche per la bellezza delle voci coinvolte nel Coro, una bellezza che ho faticato a ritrovare successivamente nella mia carriera. Mi piace pensare che insieme abbiamo creato un ricordo di quella che è la storia della musica corale nel nostro mondo, anche lavorando su opere in lingue straniere, dal russo al francese sino al tedesco.”

Il concerto

Dopo il successo di Guillame Tell Rossini decise di ritirarsi a vita privata, mettendo fine anzi tempo a una carriera sfolgorante che lo aveva visto bruciare tutte le tappe per raggiungere l’apice del panorama teatrale europeo. Durante gli anni trascorsi a Parigi, dove si era trasferito definitivamente nel 1855, il Pesarese si dilettava a comporre brani di varia natura – da lui battezzati Péchés de vieillesse – ad uso e consumo personale e della cerchia di amici musicisti che partecipavano alle serate da lui organizzate nella capitale francese. Nella conta dei molti ‘peccati di vecchiaia’  con il suo consueto umorismo Rossini annoverò anche la Petite messe solennelle, composta nel 1863 per soli, coro e accompagnamento di due pianoforti e harmonium. In questa veste la Messa venne eseguita il 14 marzo del 1864 nel palazzo della Contessa Louise Pillet-Will, dedicataria dell’opera, suscitando apprezzamenti ma anche discussioni sull’accompagnamento strumentale impiegato. La scelta di un organico ridotto alle sole tastiere era collegata alla destinazione privata dell’opera, ma a seguito di numerose richieste e insistenze Rossini si risolse a realizzarne anche una versione con accompagnamento orchestrale, firmata nel 1867 ed eseguita solo il 24 febbraio 1869 al Théâtre Italien di Parigi, pochi mesi dopo la morte del compositore. Rossini aveva composto una messa solenne seguendo l’articolazione dell’Ordinarium, a cui aggiunse un Preludio religioso strumentale prima del Sanctus e il mottetto O salutaris hostia, sottolineando però con l’aggettivo petite la dimensione raccolta e domestica della partitura, almeno questo era l’intento nella sua versione originaria. Il ritorno alla musica sacra, dopo l’esperienza dello Stabat Mater del 1832-1841, lo obbligò a confrontarsi con gli stili impiegati per tradizione nella messa dimostrando la propria abilità e versatilità nel genere. In ognuno dei brani che compongono la Petite messe sollennelle troviamo infatti un compositore a proprio agio non solo nella stesura di arie solistiche, duetti e terzetti di sapore marcatamente teatrale, ma anche nell’arte del contrappunto con cori a cappella di palestriniana memoria e imponenti fughe in puro stile barocco. Sempre in bilico tra serio e faceto, nell’autografo della prima versione Rossini aveva congedato la sua opera chiedendo venia al Signore per quel suo ultimo peccato di vecchiaia, che sperava potesse garantirgli la salvezza eterna: “Ero nato per l’opera buffa, e Tu lo sai bene! Poca scienza, un po’ di cuore, e questo è tutto. Sii dunque benedetto e accordami il Paradiso!”.

Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ringrazia ENEL, sponsor del concerto celebrativo per i 90 anni del Coro del Maggio

Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ringrazia per la collaborazione e il sostegno al convegno, Gli Amici del Maggio.

La locandina:

GIOACHINO ROSSINI

Petite Messe Solennelle

per soli, coro e orchestra

Direttore Lorenzo Fratini


Soprano Olha Smokolina
Mezzosoprano Danbi Lee
Tenore Lorenzo Martelli 

Baritono Lodovico Filippo Ravizza

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino 

Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Prezzi:

Settori D e C: 25€; Settori B e A: 35€