Dan Ettinger sul podio alla guida di Orchestra e Coro e dai solisti : Nadine Sierra, Ana Maria Labin, Attilio Glaser, Adolfo Corrado
È il Concerto di Natale l’appuntamento di apertura della Stagione Sinfonica 2023/2024 del Teatro di San Carlo.
L’inaugurazione è in calendario domani mercoledì 20 dicembre 2023 a partire dalle ore 19 con Dan Ettinger sul podio alla guida di Orchestra e Coro e degli interpretivocali Nadine Sierra (Soprano), Ana Maria Labin (Soprano), Attilio Glaser (Tenore), Adolfo Corrado (Basso).
In locandina la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D 485 di Franz Schubert e la Grande Messa in do minore, K 427 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Terminata nel 1816, quando il compositore aveva solo 19 anni, la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D 485 di Franz Schubert fa riferimento esplicito a modelli mozartiani. La presenza del genio immortale di Mozart sembra infatti dominare questa Sinfonia che si presenta come un vero e proprio omaggio al compositore di Salisburgo.
La Grande Messa in do minore, K 427 di Wolfgang Amadeus Mozart composta fra Salisburgo e Vienna nel 1783 per invocare la guarigione della moglie Konstanze a pochi mesi dal matrimonio è l’ultima pagina sacra mozartiana prima del Requiem. A interpretarla, accanto all’Orchestra e al Coro del Teatro di San Carlo un quartetto di voci di prestigio quali i soprani Nadine Sierra e Ana Maria Labin, il tenore Attilio Glaser e il basso Adolfo Corrado.
A cura di Marco Bizzarini
Schubert e Mozart: evocazioni musicali di «una vita più luminosa»
Dura la vita dell’insegnante, troppo spesso alle prese con ragazzini indisciplinati e con genitori arroganti. Potrebbe quasi sembrare una tranche de vie dei nostri giorni, ma a lamentarsi dei tanti soprusi subìti durante l’attività di maestro di scuola era, nella civilissima Vienna di due secoli or sono, Ignaz Schubert, fratello maggiore del più celebre Franz. Il quale, anch’egli destinato dal padre ad affrontare la «rudezza di una gioventù selvaggia» (per sua fortuna non ancora armata di cellulari e computer), si sottrasse all’ingrato compito gettandosi a capofitto nella musica. Così, nel 1816, a diciannove anni compiuti, il prodigioso compositore viennese metterà su carta pentagrammata quasi duecento lavori, tra Lieder, danze, sonate, sinfonie: una creatività sbalorditiva. Mirabile testimonianza di questa facilità di scrittura è la Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore, ancor oggi una delle composizioni schubertiane più celebri. Ma che cosa poteva spingere un diciannovenne d’inizio Ottocento a scrivere una partitura orchestrale? Oltre al gusto della sfida con se stessi entrava in gioco la prospettiva concreta di veder eseguito il proprio lavoro. A Vienna non c’erano solo i grandi concerti pubblici – o ‘accademie’, come allora si diceva – in cui si tenevano a battesimo, fra l’altro, le Sinfonie di Beethoven.
La vita musicale cittadina si arricchiva anche di numerose iniziative ‘semi-private’, come gli incontri promossi dal violinista Otto Hatwig, nel cui salotto vennero eseguite, secondo il musicologo Otto Biba, tutte le prime sei Sinfonie di Schubert. Conosciamo l’organico della compagine diretta da Hatwig: sette violini primi, sei secondi, tre viole (una delle quali suonata dallo stesso Schubert), tre violoncelli, due contrabbassi e una coppia per ciascuno strumento a fiato (corni e legni). Era un organico da camera, privo di trombe e timpani, numericamente ridotto rispetto ai circa sessanta esecutori che potevano essere impegnati nei concerti pubblici coevi. Gratificato dall’idea di un’esecuzione, con la Quinta Sinfonia Schubert diede il meglio di sé nella composizione di quattro movimenti certamente riconducibili alla gran tradizione di Mozart e Haydn, ma anche ricchi di stilemi personali. «O Mozart, Mozart immortale, quante, oh quante infinite confortanti percezioni di una vita più luminosa e migliore tu hai portato alle nostre anime!». Così annotava il giovane Schubert nel proprio diario. Un concetto, quest’ultimo, elegantemente trasfigurato in musica nei motivi principali della Quinta Sinfonia, a cominciare dall’indimenticabile tema d’apertura del primo movimento, così sereno, così fluido, così magistrale nel suo dialogo serrato in eco tra violini e violoncelli. Con diabolica perspicacia il musicologo Donald Tovey scoprì che l’idea principale dell’Andante con moto richiama da vicino l’ultimo movimento della mozartiana Sonata per violino e pianoforte K 377, mentre chiunque potrebbe notare la somiglianza dell’incipit del Menuetto in Sol minore con quello della Sinfonia K 550 nella medesima tonalità (anch’essa priva di clarinetti, trombe e timpani). Questi sono indubitabili omaggi al grande predecessore salisburghese, ma l’abilità nelle modulazioni, la fantasia melodica, gli imponenti culmini sonori, i passaggi repentini a tonalità minori che già anticipano le ombre della Sinfonia n. 8, sono tutti elementi stilistici propri di Schubert.
L’incompiuta Messa in Do minore K 427 di Mozart racchiude in sé una moltitudine di segreti che, probabilmente, non saranno mai svelati. Di sicuro non si trattò di un lavoro su commissione, e già questo fatto è inconsueto per la musica sacra dell’epoca. Congedatosi dal servizio presso l’arcivescovo salisburghese Geronimo Colloredo, nel 1781 il giovane compositore tentava l’azzardo della libera professione nel «miglior posto possibile» per un musicista: Vienna. Quell’inebriante sensazione di libertà, unita all’inizio della vita matrimoniale con Constanze Weber, sposata nell’agosto 1782, fu all’origine dell’idea di una Messa completamente diversa rispetto alle precedenti composizioni religiose del periodo di Salisburgo. Mozart stesso, nella lettera al padre Leopold del 4 gennaio 1783, rivela alcuni dettagli sull’ambizioso progetto: «la partitura di metà di una Messa (…) può servire come prova della realtà della mia promessa». Quale promessa? Forse un voto del musicista: scrivere una Messa dopo la guarigione di Constanze e poi recarsi in visita dal genitore a Salisburgo in compagnia della sposa. All’epoca della missiva, la composizione era giunta a metà, comprendendo ipoteticamente solo Kyrie e Gloria. Ma Mozart non portò mai a termine il lavoro: tra le parti a noi pervenute figurano solo le prime due sezioni del Credo e il Sanctus; nessuna traccia dell’Agnus Dei. Nell’attuale stato lacunoso, l’esecuzione dell’opera può durare circa un’ora; è chiaro che nella sua interezza la composizione avrebbe assunto proporzioni monumentali, paragonabili alla Messa in si minore di Bach o alla Missa solemnis di Beethoven. Una monumentalità, del resto, confermata dall’inedita ampiezza dell’organico orchestrale (comprendente flauto, coppie di oboi, fagotti, corni, trombe, tre tromboni, timpani, archi, organo) e dalle forze vocali (cinque solisti di canto con due soprani, impiego del doppio coro a otto voci nel Qui tollis).
Il tutto all’insegna di un sorprendente compasso stilistico, in grado di passare con disinvoltura da pagine di stile neo-bachiano e neo-händeliano alle delizie dello stile concertante moderno (Et incarnatus, con fiati obbligati), dalla severità del Kyrie alla luce abbagliante del celestiale Christe. Il diario di Nannerl, sorella del compositore, ci informa che la Messa incompleta venne eseguita, almeno parzialmente, il 26 ottobre 1783, durante una funzione liturgica nella chiesa abbaziale di San Pietro a Salisburgo, alla presenza di tutti i musicisti di corte. Una consolidata tradizione ottocentesca, a partire almeno dalla biografia di Georg Nikolaus Nissen, sostiene che Constanze avesse cantato le parti solistiche del primo soprano. Questa affermazione, ancor oggi, viene spesso riportata in modo acritico. Che Mozart, durante la composizione della Messa, pensasse alla moglie, pare confermato sia dalla stretta parentela melodica del Christe con il Solfeggio K 393 a lei destinato, sia dall’Et incarnatus, il cui ritmo di siciliana evoca la tenerezza di un presepe. D’altra parte, che in una chiesa cattolica del Settecento sia stato permesso a una donna di cantare durante una funzione liturgica assieme ai musici della cappella appare quanto meno dubbio. Un secolo più tardi Giuseppe Verdi, in previsione dell’esecuzione in chiesa del Requiem collettivo in memoria di Rossini, pensava di chiedere un’autorizzazione speciale al Papa per poter far cantare, eccezionalmente, le donne. La partecipazione di Constanze all’esecuzione salisburghese assume dunque contorni da leggenda (più verosimile, magari, che abbia partecipato alle prove della Messa nella storica Kapellhaus), ma questo è soltanto uno dei tanti misteri irrisolti legati alla sublime Messa in Do minore.
Teatro di San Carlo |
mercoledì 20 dicembre 2023, ore 19:00
DAN ETTINGER
CONCERTO DI NATALE
Direttore | Dan Ettinger
Soprano I | Nadine Sierra
Soprano II | Ana Maria Labin♭
Tenore | Attilio Glaser♭
Basso | Adolfo Corrado ♭
♭ debutto al Teatro di San Carlo
Programma
Franz Schubert, Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D 485
Wolfgang A. Mozart, Grande Messa in do minore per soli, coro e orchestra, K 427
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo